Tale azione è possibile per violazione del termine di ragionevole durata del processo; essa è volta ad ottenere un risarcimento del danno per le lungaggini processuali di giudizi e si basa sulla Legge n. 89/2001, o Legge Pinto.
Ad oggi, in base all’ormai consolidata interpretazione di tale normativa possono essere oggetto di lamentela per l’avvenuta violazione del termine ragionevole di durata tutti i giudizi civili, amministrativi, penali, di lavoro, fallimenti (sia per il fallito che per i creditori ammessi), procedure esecutive (creditore procedente o intervenuti); nonché i giudizi in Commissione Tributaria che non riguardino tasse e imposte (ad esempio, sanzioni e restituzione di somme: per tali giudizi il ricorso ex legge Pinto non è proponibile).
la ragionevole durata di un processo viene quantificata
- in tre anni per il giudizio di Primo Grado,
- in due per l’Appello,
- in uno per quello di Cassazione.
Oltre tale periodo, la durata diventa “irragionevole” e determina il diritto al risarcimento del danno indipendentemente dall’esito favorevole o meno del giudizio . La giurisprudenza, in tema di equa riparazione, ha stimato il danno in 400/800 euro di indennizzo per ogni anno di ritardo rispetto alla durata ragionevole del processo.
Il ricorso è proponibile nel termine decadenziale di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza ( il passaggio in giudicato si ha con la mancata proposizione dell’impugnazione l’ultimo giorno utile per la proposizione della stessa, ad esempio per l’appello delle sentenze pubblicate dopo il 4 luglio 2009 si applica il termine ridotto di 6 mesi, fermo restando che, qualora tali 6 mesi cadano nel periodo di sospensione feriale, andranno computati anche ulteriori 45 giorni ) che definisce il giudizio di cui si lamenta l’eccessiva durata.
Non è necessario per proporre questo tipo di ricorso attendere la conclusione del giudizio, essendo sufficiente che – all’atto della proposizione della domanda – la violazione del termine di ragionevole durata si sia già verificata.
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