AGGIORNAMENTO : PARERE SULLA SENTENZA DELLE SEZIONI RIUNITE N. 01/2021 DEL 04.01.2021
Secondo la tesi condivisa dalle tre sezioni centrali di Roma e dalla maggior parte dei giudici regionali, era da applicare l’aliquota del 44% al personale militare in congedo con il sistema misto.
L’ interpretazione, invece, adottata dalle Sezioni uniti nella sent. N. 01/2021 adotta una soluzione alquanto creativa ricavando un’aliquota annua del 2.44% (calcolata attraverso la divisione della percentuale del 44% per 17 + 364esimi, cioè 44/17,997= 2,44 per ogni anno) che non è prevista in nessuna normativa della materia trattata.
L’ art. 54 prevede due sole aliquote:
- Una pari al 44% della base pensionabile aumentata dell’1.80% per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo per chi abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile;
- Una seconda pari al 2.20% per chi abbia cessato dal servizio permanente o continuativo per raggiungimento del limite di età, senza aver maturato detta anzianità.
In sostanza, per le Sezioni Riunite, i militari hanno si il diritto a un trattamento pensionistico maggiore rispetto ai civili, ma in misura inferiore a quella indicata dalla normativa vigente in materia.
IL PERSONALE CHE ALLA DATA DEL 31.12.1995 VANTAVA UN’ANZIANITA’ UTILE INFERIORE A 15 ANNI
La sentenza n.01/2021 si è espressa anche riguardo il personale con un’anzianità utile inferiore a 15 anni al 31.12.1995 e menziona:
“In caso di ritenuta spettanza del beneficio di cui all’ art.54 al personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità, se la medesima aliquota del 44% sia applicabile anche per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31.12.1995, vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni”. Esso, tenuto conto di quanto deciso al primo quesito, è da ritenersi assorbito in esso con valutazione coerentemente negativa”.
Appare chiaro, secondo il nostro parere, che qui vi sia un punto di contraddizione fondamentale. La sentenza dice che non è applicabile l’ aliquota del 44% in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’ anzianità utile inferiore a 15 anni; ma non è applicabile neanche in favore a quei militari che, alla stessa data, vantavano un’ anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni.
Ragionando al contrario quindi se al personale che, alla data del 31.12.1995, vantava un’anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni va riconosciuta l’ applicazione graduata del 2.44%; allo stesso modo anche al personale militare che, alla data del 31.12.1995, vantava un’anzianità inferiore ai 15 anni andrà riconosciuta un’applicazione graduata del 2.44%.
Oggettivamente, in nessun passo della sentenza si trova una negazione del riconoscimento dell’ aliquota del 2.44% ai militari che non hanno i 15 anni di servizio utile alla data del 31.12.1995.
La decisione pare voler lasciare adito a diversi spazi interpretativi.
A ciò si aggiunga che, secondo gli scriventi, la norma (art.54) emanata nel 1973 va interpretata in maniera estensiva, calandola nel nuovo e mutato momento storico.
Infatti, la norma si limita a prevedere l’ aliquota del 44% al raggiungimento del quindicesimo anno di anzianità perché era questa, all’epoca, il minimo pensionabile richiesto (era riportata come condizione anche negli altri articoli della stessa norma).
In sostanza, è chiaro che l’ art.54 preveda il requisito dei 15 anni di servizio utile riferendosi semplicemente al requisito minimo per maturare il diritto alla pensione che, per l’ appunto, all’ epoca era di 15 anni.
Per i motivi esposti riteniamo che la norma vada letta secondo il nostro nuovo contesto storico, solo in questo modo non verrà violato l’ art.3 Cost. sul principio di eguaglianza.
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RICORSO RICALCOLO PENSIONI MILITARI
Negli ultimi anni l’argomento “pensioni” suscita grande interesse e fermento tra i militari. Molti di essi, infatti, dopo una vita passata a servizio dello Stato, rischiando la propria incolumità, si vedono oggi liquidare una pensione che, a malapena, gli permette di vivere dignitosamente.
Ma come mai le pensioni dei militari sono così basse?
Nella maggior parte dei casi, questa situazione è generata dall’I.N.P.S., il quale tende a calcolare le pensioni degli ex appartenenti alle Forze Armate e di Polizia utilizzando un’aliquota di gran lunga inferiore rispetto a quella prevista dalla legge.
Il riferimento è all’ormai nota problematica legata all’applicazione dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73 che ha costretto molti militari ad adire le varie Corti dei Conti dislocate sul territorio nazionale al fine di ottenere una rideterminazione della propria pensione.
Ebbene, oggi, grazie alle varie sentenze che ci sono state, è possibile tracciare un quadro completo dell’argomento, in modo tale da consentire, a chiunque vi abbia interesse, di verificare facilmente se ha diritto ad ottenere un aumento del proprio trattamento pensionistico.
Innanzitutto, è doveroso chiarire, sin da subito, come tale questione riguardi esclusivamente gli ex appartenenti alle Forze Armate e di Polizia che percepiscono una pensione liquidata sulla base del c.d. sistema misto.
Il motivo di questa limitazione può essere così riassunto.
La Legge n.335 del 1995 ha riformato il sistema pensionistico italiano, ponendo in essere una distinzione tra i lavoratori che, alla data del 31 dicembre 1995, avevano maturato un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni e quelli che, invece, alla medesima data, avevano maturato un’anzianità inferiore.
Alla luce di tale riforma, dunque, ai lavoratori che, alla data del 31.12.1995, avevano maturato un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, spetta una pensione di tipo “misto” composta da: una prima quota relativa agli anni di anzianità maturati prima del 31 Dicembre 1995, calcolata sulla base del sistema retributivo all’epoca vigente; una seconda quota relativa agli anni di anzianità maturati dopo il 31 Dicembre 1995, calcolata secondo il sistema contributivo.
Ebbene, la problematica nasce dal fatto che, per le pensioni liquidate con il sistema misto, l’I.N.P.S. tende a calcolare la prima quota (relativa agli anni di anzianità maturati prima del 31 Dicembre 1995) applicando l’aliquota prevista dall’art.44 del D.P.R. n.1092/1973 PER I DIPENDENTI CIVILI DELLO STATO (ammontante al 35,9%) e non, invece, quella stabilita dal successivo art.54 dello stesso decreto, per il PERSONALE MILITARE, pari al 44%.
L’applicazione dell’aliquota di cui all’art.44 del D.P.R. n.1092/73 in luogo di quella prevista dall’art.54 del D.P.R. n.1092/1973, comporta un’evidente penalizzazione ai danni degli ex appartenenti alle Forze Armate e di Polizia, i quali, in questo modo, subiscono una riduzione della propria pensione che oscilla tra i 150 ed i 350 euro al mese.
I militari possono verificare se la loro pensione è stata liquidata sulla base del sistema misto attraverso la semplice lettura del Modello 5007 rilasciato dall’I.N.P.S., che altro non è se non il documento con cui l’Istituto conferisce al militare la pensione.
Fatta questa indispensabile precisazione, è possibile passare all’analisi degli altri requisiti necessari per procedere con la richiesta di rideterminazione della pensione ai sensi dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73.
La stessa può essere avanzata da tutti gli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia ad ordinamento militare (Esercito, Aeronautica, Marina, Guardia di Finanza, Carabinieri…) collocati a riposo e che sono titolari di una pensione liquidata sulla base del sistema misto.
Per quanto riguarda, invece, gli ex appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato e Polizia Penitenziaria) è doveroso precisare quanto segue.
Gli ex dipendenti della Polizia di Stato, possono richiedere la rideterminazione della loro pensione solo se arruolati prima del 25.06.1982, ossia per l’allora Corpo della Guardie di Pubblica Sicurezza. Ciò in quanto, a partire da tale data, la Polizia di Stato è divenuta un corpo di polizia ad ordinamento civile.
A riguardo, preme rilevare come, spesso, l’I.N.P.S. rigetti le richieste di ricalcolo della pensione avanzate dagli ex dipendenti della Polizia di Stato, arruolati per l’allora Corpo delle Guardie di P.S., poiché ritiene che gli stessi, a seguito della smilitarizzazione del 25.06.1982 (disposta con la legge n.121/1981), abbiano perso lo status di militare.
Ebbene, a parere degli scriventi, la motivazione fornita dall’Istituto di Previdenza risulta pretestuosa per una serie di motivi.
Innanzitutto, riteniamo che, ai fini del riconoscimento dei benefici di cui all’art.54 del D.P.R. n.1092/1973, il possesso dello status di militare debba sussistere al momento dell’arruolamento e non, invece, per l’intera carriera del lavoratore. Tale principio, infatti, può essere facilmente ricavato dalla lettura di un noto parere reso dal Consiglio di Stato nel 1983, il quale, interpellato proprio su tale questione pensionistica, ha affermato che “nessuna incidenza avrebbe avuto la smilitarizzazione della polizia di stato sul trattamento di quiescenza, che rimane quella più favorevole prevista per i militari”.
In secondo luogo, si fa presente come lo stesso art.54 del D.P.R. n.1092/1973, al comma 6 faccia esplicito riferimento agli ex arruolati per il Corpo di Guardia di Pubblica Sicurezza, stabilendo che “per i sottufficiali e gli appuntati dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza e per i sottufficiali e i militari di truppa del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e del Corpo degli agenti di custodia si considera la percentuale di aumento del 3,60”.
A riguardo si sottolinea come tale articolo non sia mai stato modificato neanche a seguito della smilitarizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Ciò a riprova del fatto che gli ex appartenenti al predetto Ente vengono ancora considerati come militari in quanto hanno conservato tale status anche a seguito dell’entrata in vigore della legge n.121/1981.
Sul punto, è giusto precisare che, in passato, in alcuni casi, la giurisprudenza ha avallato la tesi sostenuta dall’I.N.P.S.. Tuttavia, negli ultimi mesi, si è registrato un orientamento favorevole agli ex dipendenti del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, i quali hanno ottenuto il ricalcolo della propria pensione attraverso l’applicazione dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73. A conferma di quanto appena detto, si cita la recentissima sentenza della Corte dei Conti della Liguria n.162 del 28.09.2019.
Infine, per mera completezza espositiva, a quanto fin qui detto va aggiunto che, con la legge di smilitarizzazione n.121/1981, con la quale il corpo militare delle Guardie di Pubblica Sicurezza è stato disciolto e sostituito dall’odierna Polizia di Stato, è stato espressamente stabilito che esso sarebbe divenuto un corpo civile ad ordinamento speciale.
Ebbene, a riguardo, risulta emblematico il contenuto della circolare n.6 del 23.03.2005 emanata dall’I.N.P.D.A.P. con la quale si afferma che “come già indicato in premessa, la Polizia di Stato (di seguito indicata anche con la sigla P.S.) è un’amministrazione civile ad ordinamento speciale. Ciò comporta che, ai fini pensionistici, i dipendenti della P.S. sono destinatari delle normative dirette alla generalità degli impiegati civili dello Stato ma nei loro confronti trovano applicazione anche norme speciali, vale a dire riguardanti esclusivamente le forze di polizia o il personale militare”.
Tali argomentazioni, dunque, permettono di affermare che nei confronti del personale arruolato per l’allora Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza debbano trovare applicazione le disposizioni previste dall’art.54 del D.P.R. n.1092/1973.
Discorso pressoché identico può essere fatto per gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, i quali possono richiedere la rideterminazione della pensione solo se arruolati prima del 15.12.1990, data in cui anche la Polizia Penitenziaria è diventata un corpo di polizia ad ordinamento civile.
E’ possibile passare, adesso, all’analisi dell’ultimo requisito necessario ai fini dell’applicazione dell’art.54 del D.P.R. 1092/73, ossia la c.d. “anzianità contributiva” che il militare deve aver maturato nel corso della sua carriera.
Tale requisito è stato ampiamente discusso sia in dottrina che in giurisprudenza.
Cerchiamo ora di spiegarne il perché.
Il comma 1 dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73 stabilisce che “La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo.
Il successivo comma 2, continua, poi, affermando che “La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
Ebbene, il dibattito creatosi riguarda proprio l’interpretazione di questi due commi.
Da un lato, infatti, l’I.N.P.S. fornisce un’interpretazione restrittiva, sostenendo che l’applicazione dell’aliquota, pari al 44%, prevista dall’art.54 sopra indicato spetterebbe solo in favore di quei militari che, al 31 Dicembre 1995, abbiano maturato un’anzianità contributiva compresa tra i 15 ed i 20 anni e che siano poi andati in pensione il 1.01.1996, senza maturare ulteriore anzianità di servizio.
Sempre secondo l’Istituto di Previdenza, nel caso in cui il militare abbia maturato, alla data del 31 Dicembre 1995, un’anzianità contributiva compresa tra i 15 ed i 20 anni ma poi abbia continuato a prestare servizio, la quota di pensione regolata dal sistema retributivo deve essere calcolata applicando l’aliquota inferiore (pari al 35,9%), prevista dall’art.44 del D.P.R. n.1092/1973 per il personale civile.
Dall’altro lato, invece, gli ex appartenenti alle Forze Armate e di Polizia evidenziano come l’interpretazione fornita dall’I.N.P.S. sia assolutamente errata in quanto si pone in contrasto con quanto previsto dal comma 2 dell’art.54 del D.P.R. n.1092/1973, il quale, addirittura, prevede un aumento della predetta aliquota nel caso in cui il militare che abbia maturato, al 31.12.1995, tra i 15 ed i 20 anni di anzianità contributiva, abbia poi continuato a prestare servizio.
Ebbene, ad oggi, dopo innumerevoli contenziosi, la giurisprudenza, in maniera unanime, ha ritenuto corretta l’interpretazione fornita dai militari.
Di fatti, alla già copiosa serie di pronunce favorevoli espresse dalle varie Corti dei Conti presenti sul territorio nazionale, hanno fatto seguito, negli ultimi mesi, le sentenze n.422/2018, n.370/2019 e n.228/2019 pronunciate, rispettivamente, dalla Prima, dalla Seconda e dalla Terza Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti, le quali hanno finalmente posto fine al dibattito creatosi ed hanno riconosciuto, in maniera unanime, il diritto per gli ex appartenenti delle Forze Armate e di Polizia ad ottenere la riliquidazione della pensione attraverso l’applicazione delle aliquote previste dall’art.54 del D.P.R. n.1092/1973.
Ma vi è di più!
La giurisprudenza più recente ha riconosciuto l’applicazione dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73 non solo in favore dei militari che hanno maturato, alla data del 31 Dicembre 1995, un’anzianità contributiva compresa tra i 15 ed i 20 anni e che hanno poi continuato a prestare servizio ma, per giunta, ha esteso tale beneficio anche in favore degli ex appartenenti delle Forze Armate e di Polizia che, alla data del 31.12.1995, hanno maturano meno di 15 anni di servizio utile.
A tal proposito, si cita la sentenza della Corte dei Conti – Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello n.310/19, con la quale viene stabilito che l’art.54 “spetta al militare che cessi avendo compiuto 15 anni”.
Detto in altri termini, ai fini dell’applicazione dell’art.54 non è necessario che il militare abbia maturato, alla data del 31.12.1995, almeno 15 anni di servizio utile, ma è sufficiente che tale periodo di anzianità contributiva sussista nel momento in cui lo stesso viene collocato in pensione.
Pertanto, stando alle più recenti sentenze, l’art.54 del D.P.R. n.1092/73 trova applicazione anche nei confronti degli ex appartenenti alle Forze Armate e di Polizia che, al 31.12.1995, avevano maturato meno di 15 anni di servizio utile.
Arrivati a questo punto della trattazione, si ritiene opportuno aprire una parentesi ed approfondire gli aspetti pensionistici legati ad un istituto molto importante nell’ambito militare, ossia quello dell’ausiliaria.
Ci si chiede, infatti, se la fattispecie prevista dall’art.54 del D.P.R. n.1092/73 possa trovare applicazione anche nei confronti del personale transitato in ausiliaria e quali siano, invece, i benefici pensionistici che spettano al personale escluso da tale transito.
Sul punto si ritiene doveroso precisare quanto segue.
Innanzitutto, è bene far presente come l’ausiliaria, disciplinata dall’art.992 del D.lgs. n.66/2010, possa essere definita come la disponibilità, espressa dal militare cessato dall’impiego per il raggiungimento del limite di età, ad essere richiamato in servizio al fine di soddisfare le esigenze della Pubblica Amministrazione, sia essa quella di appartenenza o una qualunque altra Amministrazione Statale.
Il successivo art.1864 del D.lgs. n.66/2010, stabilisce che al personale transitato spetta un trattamento pensionistico che deve essere corrisposto “all’atto del collocamento in ausiliaria” e che sarà, poi, rideterminato al termine del periodo di permanenza in tale posizione.
Sebbene il collocamento in ausiliaria venga equiparato, a livello giuridico, al collocamento in pensione, il relativo trattamento economico non viene corrisposto dall’I.N.P.S., bensì dall’Amministrazione Militare, la quale, però, si uniforma alle indicazioni fornite dall’Istituto di Previdenza.
Tale circostanza, del tutto singolare, potrebbe costituire un ostacolo per l’applicazione dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73 in favore del personale collocato in ausiliaria.
Da un lato, infatti, l’I.N.P.S. sostiene il proprio “difetto di legittimazione passiva”, cioè la sua assenza di responsabilità, posto che, nei confronti del personale transitato in ausiliaria, l’Ente di Previdenza non emette alcun provvedimento relativo al trattamento pensionistico del militare né, tanto meno, apre alcun fascicolo pensionistico.
Dall’altro lato, invece, l’Amministrazione della Difesa afferma di limitarsi ad applicare le disposizioni impartitele dall’I.N.P.S., ribadendo comunque la linea difensiva sostenuta dall’Istituto, secondo la quale l’art.54 del D.P.R. n.1092/73 troverebbe applicazione solo in favore di quei militari che, al 31 Dicembre 1995, abbiano maturato un’anzianità contributiva compresa tra i 15 ed i 20 anni e che sono poi andati in pensione il 1.01.1996, senza maturare ulteriore anzianità di servizio.
Ebbene, la giurisprudenza più recente ha disatteso le eccezioni sopra indicate ed ha riconosciuto il diritto, per il personale transitato in ausiliaria, ad ottenere l’applicazione delle aliquote previste dall’art.54 del D.P.R. n.1092/73.
Nello specifico, con la sentenza della Corte dei Conti della Toscana n.447/2019, il Giudice delle pensioni ha osservato come le argomentazioni sostenute dall’Amministrazione siano infondate poiché contrastanti con quanto affermato espressamente dal comma 2 dell’art.54, il quale, come già detto in precedenza, prevede, addirittura, un aumento della predetta aliquota nel caso in cui il militare, che al 31.12.1995 aveva maturato tra i 15 ed i 20 anni di anzianità contributiva, abbia continuato a prestare servizio.
La Corte dei Conti della Toscana ha, altresì, rigettato le argomentazioni sostenute dall’I.N.P.S., evidenziando come, sebbene il trattamento pensionistico connesso all’istituto dell’ausiliaria venga corrisposto dall’Amministrazione, il militare “ha interesse a rendere opponibile all’Istituto l’eventuale sentenza di accoglimento”.
Di fatti, una volta cessato il periodo di ausiliaria, al dipendente verrà erogata una nuova pensione (questa volta, da parte dell’I.N.P.S.) che terrà già conto dell’aliquota prevista dall’art.54 proprio grazie alla sentenza favorevole pronunciata anche nei confronti dell’Istituto Previdenziale. In questo modo, quindi, il militare non sarà costretto ad impugnare il nuovo trattamento pensionistico che gli verrà riconosciuto dall’Ente di Previdenza.
Discorso del tutto diverso deve essere fatto, invece, per il personale che non transita in ausiliaria.
La normativa di riferimento è rappresentata dal D.lgs. n.165/1997.
Nello specifico, l’art.3, comma 1, del predetto decreto stabilisce che “Il collocamento in ausiliaria del personale militare avviene esclusivamente a seguito di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età previsto per il grado rivestito.
Il successivo comma 7 prevede, poi, che “Per il personale di cui all’articolo 1 escluso dall’applicazione dell’istituto dell’ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall’ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l’incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell’ultimo anno di servizio moltiplicata per l’aliquota di computo della pensione. Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell’interessato.
La norma sopra indicata permette, dunque, ai militari di ottenere un aumento della propria pensione attraverso una maggiorazione pari a 5 volte della base imponibile dell’ultimo anno di servizio, moltiplicata, a sua volta, per l’aliquota di computo della pensione (c.d. “moltiplicatore”).
Dalla lettura della legge, risulta pacifico come tale beneficio si applichi in favore del personale appartenente alla Forze Armate e alle Forze di Polizia ad ordinamento Militare.
Quel che non è affatto chiaro, invece, è se tale ricalcolo possa essere richiesto solo dal personale che, al momento del congedo, aveva comunque raggiunto l’età pensionabile o, viceversa, se lo stesso possa essere usufruito da tutti i militari che sono cessati dal servizio per inidoneità, a prescindere dal fatto che gli stessi abbiano raggiunto l’età pensionabile.
Ovviamente, di fronte a questo dubbio interpretativo, l’I.N.P.S. ritiene che l’istituto del moltiplicatore trovi applicazione solo in favore dei militari che abbiano raggiunto l’età pensionabile.
La questione è stata affrontata anche dalle varie Corti dei Conti, le quali si sono espresse in maniera non uniforme.
Al contrario, le Sezioni Centrali d’Appello hanno affermato, all’unanimità, con le sentenze n.31/2019, n.29/2019 e n.61/2019, che il beneficio previsto dall’art.3 del D.lgs. n.165/97 spetta solo agli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia ad ordinamento Militare che, al momento del congedo, avevano comunque raggiunto l’età pensionabile.
Nello specifico, con tali sentenze è stato sancito che “in mancanza del requisito della cessazione dal servizio permanente per i limiti di età, non sorge neppure il diritto della cessazione dal servizio permanente per limiti di età, non sorge neppure il diritto di accedere o permanere in ausiliaria, con la conseguenza che il beneficio de quo va interpretato restrittivamente e limitato al personale escluso dall’ausiliaria, ma pur sempre collocabile in quiescenza per limiti d’età…Il vigente ordinamento non ammette alcuna rilevanza alle cause impeditive del raggiungimento dei limiti d’età al fine di accedere all’ausiliaria”.
L’unanimità di tale interpretazione è stata riconosciuta anche dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti con la sentenza n.13/2019/QM/PRE.
Alla luce di quanto sopra detto, dunque, l’istituto del c.d. “moltiplicatore” sembrerebbe trovare applicazione solo in favore di quei militari che non sono transitati in ausiliaria ma che hanno comunque raggiunto l’età pensionabile.
Tuttavia, per mera completezza espositiva, è doveroso far presente come alcune Corti dei Conti territoriali, invece, continuino a riconoscere tale beneficio anche al personale riformato prima del raggiungimento dell’età pensionabile.
In virtù di quanto fin qui detto, è possibile RIASSUMERE che:
1) I BENEFICI PREVISTI dall’art.54 del D.P.R. n.1092/73 TROVANO APPLICAZIONE NEI CONFRONTI:
· di tutti gli ex appartenenti alle Forze Armate e alle Forze di Polizia ad ordinamento Militare (Esercito, Aeronautica, Marina, Guardia di Finanza, Carabinieri…) a condizione che gli stessi: siano titolari di una pensione liquidata sulla base del sistema misto; alla data del collocamento in pensione abbiano maturato almeno 15 anni di servizio utile;
· degli ex appartenenti alla Polizia di Stato a condizione che gli stessi: siano titolari di una pensione liquidata sulla base del sistema misto; si siano arruolati prima del 25.06.1982; alla data del collocamento in pensione abbiano maturato almeno 15 anni di servizio utile;
· degli ex appartenenti alla Polizia Penitenziaria a condizione che gli stessi: siano titolari di una pensione liquidata sulla base del sistema misto; si siano arruolati prima del 15.12.1990; alla data del collocamento in pensione abbiano maturato almeno 15 anni di servizio utile;
· del personale transitato in ausiliaria.
I BENEFICI PREVISTI dall’art.3 del D.lgs. n.165/97 (c.d. “MOLTIPLICATORE”), invece, POSSONO ESSERE RICHIESTI solo dagli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia ad ordinamento Militare che, al momento del congedo, avevano comunque raggiunto l’età pensionabile.
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La PROCEDURA DA SEGUIRE per richiedere il ricalcolo della pensione ai sensi dell’art.54 del D.P.R. n.1092/73 è molto semplice e si articola nelle seguenti fasi:
– invio di una apposita istanza all’I.N.P.S. ;
– nel caso in cui l’I.N.P.S. rigetti l’istanza oppure non risponda nei successivi 120 giorni, il militare potrà proporre ricorso dinanzi alla Corte dei Conti. In questo caso l’interessato potrà chiedere il rimborso degli arretrati non percepiti, fino ad un massimo di 5 anni.